Quanto puo’ impiegare una sonda a giungere su Plutone?

Il propellente viene utilizzato quasi esclusivamente alla partenza, per staccarsi dalla Terra. Dopo restano solo le briciole che serviranno per il resto della missione ed a riorientare la sonda o correggere la traiettoria. Un uso continuo di propellente non è assolutamente proponibile, ancorché assurdo, visto la mancanza di resistenza nello spazio interplanetario. La tecnologia di oggi non consentirebbe a nessun mezzo con serbatoi tanto capaci (e pesanti) di staccarsi da Terra (a parte la sua assurdità). La propulsione per vela, sebbene già tecnologicamente praticabile, anzi addirittura già realizzata, ha fallito nel primo utilizzo (Cosmos 1, giugno 2005).
Ne consegue che, al momento, l’unica via consiste nell’essere guidati dalla gravità solare
Quando si parla di satelliti artificiali in volo interplanetario, fatte salve le immediate vicinanze dei pianeti di partenza (la Terra) e di destinazione, essi sono soggetti unicamente all’attrazione gravitazionale del Sole e si comportano secondo le stesse leggi che governano il moto dei pianeti intorno al Sole.

Quindi l’orbita che risulta economicamente più conveniente è la cosiddetta orbita di Hohmann, vale a dire una traiettoria ellittica (identica a quella delle comete) in cui il perielio e l’afelio corrispondono ai pianeti di partenza e di arrivo. In realtà, per cautelarsi preventivamente da malfunzionamenti, di regola le agenzie prima mettono i satelliti destinati ad altri pianeti in un’orbita di parcheggio nelle vicinanze della Terra e poi le lanciano sull’orbita di trasferimento (di Hohmann).

 

La geometria è molto semplice e la terza legge di Keplero ci consente di stimare il tempo di arrivo. Essa difatti afferma che i quadrati dei tempi di rivoluzione (P) degli astri intono al Sole sono direttamente proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori (a).
Assunta come unità dei tempi l’anno e l’unità astronomica (UA), la distanza media Terra-Sole come unità delle distanze, abbiamo: 

P2/a3=costante

La costante può essere ricavata dal moto della Terra: (1 anno)2/(1 UA)3=1.
Un satellite destinato ad un pianeta compie mezza orbita (da perielio ad afelio verso l’esterno, viceversa da afelio a perielio per andare su un pianeta interno) e quindi impiegherà metà periodo.
Per andare su Marte (distanza media dal Sole1.5 UA (unità astronomiche), osservando che Terra e pianeta devono essere da parti opposte (vedi figura), si deduce un tempo di volo pari a:
T=1/2 ((1.5+1)/2)3/2 = 0.7 anni, cioè quasi otto mesi e mezzo.
Tempi minori comportano orbite più dispendiose in fase di lancio.
 

pianeta semiasse (UA) tempo di arrivo (anni)
Mercurio 0.4 0.3
Venere 0.7 0.4
Marte 1.5 0.7
Giove 5.2 2.7
Saturno 9.5 6.0
Urano 19.2 16.0
Nettuno 30.1 30.7

Plutone dista mediamente 39.8 UA, quindi
T=1/2 ((39.8+1)/2)3/2 = 46 anni.

Per la verità Plutone oggi si trova più vicino della distanza media e siccome la sua orbita è molto eccentrica questo fatto può far guadagnare una manciata di mesi (per un ventennio, l’ultima volta tra il 1979 ed il 1999, la sua orbita è interna a quella di Nettuno) .

Nel gennaio 2006 è stata lanciata la sonda New Horizons (in fondo alla risposta c’è una scheda di approfondimento sulla sonda). Lo scopo non è verificare le leggi della meccanica celeste, ed in particolare la traiettoria dell’orbita di Hohmann, ma le proprietà dell’ormai ex più lontano pianeta, Plutone (e le sue lune) dove arriverà intorno al 2015.

 

Il lettore attento dovrebbe subito insospettirsi, dal momento che, abbiamo detto, per andare su Plutone ci vogliono circa 46 anni. D’accordo che si trova un po’ più vicino della distanza media, ma non tanto da giustificare un anticipo di 37 anni. Quando abbiamo detto che lontano dai punti di partenza e di arrivo un satellite è in balia della sola gravità solare non siamo stati troppo rigorosi, perché in realtà potrebbe imbattersi in qualche pianeta, il quale potrebbe contribuire con la sua gravità a perturbare la velocità della sonda. Il fatto è ben compreso e volutamente la traiettoria in cui è stata immessa è stata una sorta di orbita di Hohmann fino a Giove e da lì, con un passaggio ravvicinato ha subito recentemente il gravity assist (ovvero l’aiuto gravitazionale) che le permetterà di raggiungere Plutone in soli 9 anni di volo. 

Può subito sorgere una domanda: se l’energia si conserva, a spese di chi la sonda estrae energia? Del pianeta naturalmente che, in teoria, viene sospinto un po’ all’indietro (principio di azione e reazione), solo che la differenza di massa è talmente smarcata che di fatto il pianeta neanche se ne accorge.
Il principio del gravity assist o effetto fionda fu progettato per la prima volta dall’ingegnere italiano Giuseppe Colombo il quale propose nel 1973 di raggiungere Mercurio sfuttando la gravità di Venere. Da allora i gravity assist sono all’ordine del giorno.

La prima a tentarlo con successo fu la Mariner 10, indirizzata verso Venere, come aveva suggerito Colombo, dove, mediante gravity assist, acquisì la spinta necessaria per raggiungere Mercurio. La Voyager 2 ha sfruttato i quattro pianeti gassosi per avere una spinta sufficiente a raggiungere il pianeta di volta in volta successivo (prima Giove, poi Saturno, quindi Urano, infine Nettuno) e da Nettuno in poi per fuggire dal Sistema Solare (N.B. per sfuggire dal Sistema Solare, non dalla Galassia). Il periodo in cui furono lanciate le due Voyager era particolarmente conveniente poiché tutti i pianeti interessati si trovavano entro un angolo ristretto.
Il principio con cui estrarre energia dai pianeti è tanto più efficace quanto più i pianeti sono massicci e quanto più stretto è il passaggio. Un passaggio radente con Marte, per quanto possibile in linea di principio, non avrebbe molto resa perché non sarebbe in grado di fornire una spinta consistente. Già diverso è il discorso con Venere la cui spinta è stata sfruttata, ma non solo per andare su Mercurio, come sarebbe presumibile, ma anche dalla sonda Galileo per andare sul sistema di Giove. In questo caso anzi, si sono sfruttati ben 3 effetti fionda, uno con Venere e due con la Terra, l’ultimo dei quali l’ha immessa in un’orbita ellittica (anche se non rigorosamente un’orbita di Hohmann) che l’ha indirizzata verso Giove. Analogamente la Huygens-Cassini ha subito due spinte da Venere, una dalla Terra, prima dell’ultimo trampolino costituito da Giove. L’espediente ha fruttato un risparmio di 75 tonnellate di carburante. 

L’effetto fionda può essere utilizzato anche per riorientare una sonda spaziale, operando sulla traiettoria di ingresso al gravvity assist. Nel caso della sonda Ulysses si voleva che essa acquisisse una traiettoria tale da uscire dall’eclittica e sorvolare i poli solari. Per questo motivo fu immessa in una traiettoria radente a Giove “passandogli da sopra”, di modo che il pianeta sparasse la sonda verso il basso in un piano orbitale inclinato di 88°. Per immettere Ulysses nella stessa orbita senza il gravity assist di Giove sarebbe occorso un lancio a 42 km/s.

 

 

 

Senza entrare nei dettagli geometrici possiamo dire che una sonda che entra nel raggio d’azione di un pianeta, nel relativo sistema di riferimento, è come se provenisse da infinito. La velocità è un vettore e come tale si compone secondo le regole vettoriali. L’azione del pianeta consiste solo nel deflettere il vettore velocità della sonda. Se la somma vettoriale finale supera in modulo il valore della velocità di fuga la sonda si immetterà su un’orbita iperbolica di progressivo allontanamento. E’ quanto è avvenuto per la prima volta alle Pioneer, e poi alle Voyager. A questo proposito può essere utile evidenziare come diversamente agiscano i gravity assist operando sugli angoli di ingresso. Voyager 1 ad esempio ha surclassato la Pioneer 10, nonostante che il lancio abbia avuto luogo 5 anni e mezzo più tardi. Il 17 febbraio 1998 Voyager 1 ha superato Pioneer 10 ed oggi si allontana dal Sole ad un velocità di circa 1 UA all’anno superiore a quello di Pioneer 10.

 

Una bella animazione interattiva, molto istruttiva anche se bidimensionale, relativa ai gravity assist la si può trovare nel sito:

http://galileoandeinstein.physics.virginia.edu/more_stuff/flashlets/Slingshot.htm

 


Di seguito riportiamo una scheda in cui sono messi in evidenza gli strumenti a bordo della New Horizons ed il loro impiego, una volta giunta a destinazione. Per inciso il passaggio ravvicinato di Giove è stato sfruttato, oltre che per la gravità, anche per testare la strumentazione a bordo.

La sonda, partita Il 22 Gennaio 2006, In questo momento ha, appunto, compiuto il fly by con Giove raggiunto nel Febbraio 2007 e dal quale, grazie all’assistenza gravitazionale, nel successivo mese di Marzo ha intrapreso quel viaggio interplanetario che lo porterà nei pressi di Plutone nel Giugno 2015. A Luglio incomincerà lo studio vero e proprio, insieme con quello di Caronte, poi, dal 2016 al 2020, la sonda proseguirà verso gli altri corpi KBO.

 
 

Come detto, tra non più di nove anni raggiungerà il suo obiettivo primario e per Plutone il suo incontro al perielio ha un’importanza ancor maggiore: a quella distanza sembra che il Sole riesca a far evaporare del metano che causa la tenue atmosfera rilevata nel 1989, durante un’occultazione stellare.

 

Progettata quando ancora il nostro ex pianeta non era stato declassato (a mio parere, giustamente) a pianeta nano, la New Horzons è stata una missione assai contrastata. Più volte cancellata dalla NASA per motivi di budget, è stata alla fine ripristinata su pressione popolare, specialmente da parte di tutti i membri internazionali della Planetary Society (anche chi scrive ha partecipato a questa campagna). La fase finale dell’assemblaggio è stata seguita con particolare emozione, anche perchè bisognava rispettare la finestra di lancio del 2006, pena il fallimento dell’incontro con Plutone al perielio!

 

La sonda reca ben sette strumenti che descrivo brevemente qui di seguito:

La sonda New Horizons ed i suoi strumenti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ralph: spettrofotometro/imager visibile ed infrarosso; permetterà di ottenere colori, composizione ed una mappa termica.
 
Alice: spettrofotometro ultravioletto; analizzererà la composizione e la struttura dell?atmosfera di Plutone e cercherà atmosfere intorno anche a Caronte e gli altri oggetti KBO.
 
REX (Radio science EXperiment): misurerà la composizione e la temperatura atmosferica.
 
LORRI (LOng Range Reconnaissance Imager): camera telescopica; otterrà dati dell’incontro a lunga distanza, mapperà la superficie di Plutone e permetterà di avere dati geologici ad alta risoluzione.
 
SWAP (Solar Wind Around Pluto): spettrofotometro per il vento solare ed il plasma, misurerà la velocità di fuga? atmosferica ed osserverà l’interazione tra Plutone ed il vento solare.
 
PEPSSI (Pluto Energetic Particle Spectrometer Science Invstigation): spettrofotometro per particelle energetiche; misurerò la composizione e la densità del plasma (ioni) che scappa dall’atmosfera di Plutone.
 
SDC (Student Dust Counter): costruito e reso operativo da studenti; misurerà le polveri nello spazio del Sistema Solare attraversato da New Horizons durante il suo viaggio.
 
Non ci resta, quindi, che aspettare gli anni tra il 2015 ed il 2020 quando questa sonda ci rivelerà molti dei misteri che, finora, questi affascinati corpi hanno celato ai nostri occhi!