Potete spiegarmi il concetto di infinito nella matematica contemporanea?

Per i filosofi greci, Aristotele in testa, il concetto di
infinito è inteso come ciò che non è compiuto, o
come ciò che non ha limite. Il termine “infinito” non designa una
realtà ma un processo, si chiama infinito quello che ha sempre
qualcosa oltre a sé, si tratta in altre parole di una concezione
“operativistica” dell’infinito. Esso è qualche cosa che noi
costruiamo indefinitamente, ma non che esiste già come sistema dato di
tutte le cose. Questo tipo di infinito, così come lo intendevano i
greci, viene detto infinito potenziale, al quale si contrappone
l’infinito attuale, cioè realmente esistente come tale in atto,
introdotto successivamente nel neoplatonismo e poi entrato a far parte della
tradizione teologica e filosofica cristiana. La “legittimità” del
concetto di infinito attuale è, sul piano propriamente logico, una
conquista recente dovuta essenzialmente ai lavori svolti da Dedekind, il
quale nel 1872 dà la definizione di insieme infinito, e da Cantor, il
quale qualche anno dopo si accorge che non tutti gli insiemi infiniti sono
dello stesso tipo, introducendo la nozione di numero transfinito.

      Due insiemi A e
B si dicono equipotenti, se esiste una funzione biettiva
f : A –> B mentre, se A
è equipotente ad una parte propria di B, allora si dice che la
potenza (o cardinalità) di A è minore
della potenza (cardinalità) di B, oppure che la potenza o la
cardinalità di B è maggiore della potenza di A, e
si scrive Card(A) < Card(B).

      L’esperienza fatta su
cose finite aveva ispirato principio secondo il quale “il tutto è
maggiore della parte” ma Galileo osservò che l’insieme dei numeri
naturali, insieme considerato infinito dal punto di vista potenziale,
può essere messo in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei
quadrati, che sono ovviamente una parte dell’insieme dei numeri naturali.
Successivamente Bolzano trovò altre numerose corrispondenze di questo
tipo; ad esempio anche i numeri pari possono essere messi in corrispondenza
biunivoca con l’insieme dei numeri naturali e lo stesso dicasi per i numeri
dispari. In realtà, corrispondenze biunivoche tra i numeri naturali e
taluni suoi sottoinsiemi se ne possono trovare a bizzeffe. Seguendo lo
stesso ragionamento di Bolzano si può dimostrare che l’insieme dei
numeri naturali N è anche equipotente all’insieme dei numeri
divisibili per 3, per 4 per 5, e cosi via… Si può anche verificare
che esso è equipotente all’insieme dei numeri interi Z, il
quale contiene l’insieme dei naturali.

      Anzi, Cantor
dimostrò, che l’insieme dei numeri naturali è equipotente
all’insieme dei numeri razionali Q.

      Se per ogni numero
naturale n maggiore di 0 poniamo
In = {1, 2, …, n},
sussiste il seguente

Teorema. Per ogni numero naturale n, l’insieme
In non è equipotente a nessun suo sottoinsieme proprio.

Definizione. Un insieme A è detto
finito, se esiste un numero naturale m > 0 per il
quale Im risulti equipotente ad A.

Dalla definizione data si evince che un sottoinsieme finito
non è equipotente a nessun sottoinsieme proprio. Questa affermazione
è stata formulata in modo molto espressivo da Dirichlet con la
seguente

Proposizione (principio delle scatole). Siano n e
m due naturali per cui si abbia n
 < m. Allora se m
oggetti sono distribuiti in n scatole, qualche scatola deve contenere
più di un oggetto.

Riassumendo quanto finora detto, abbiamo due fatti
fondamentali:

  • gli insiemi finiti non sono equipotenti a nessuna loro
    parte propria;

  • gli insiemi, che a nostro intuito consideriamo infiniti
    (o considerati infiniti dal punto di vista potenziale), sono equipotenti a
    qualche loro sottoinsieme

Partendo da queste due osservazioni si è giunti a
dare una definizione di insieme infinito:

Definizione (Cantor – Dedekind 1872). Un
insieme si dice infinito se è equipotente a qualche sua parte
propria.

Va subito detto che questa definizione, oggi accettata da
tutti, quando fu proposta fu osteggiata da molti studiosi e da altri fu
aspramente criticata. Nella concezione precedente, l’infinito era ottenuto
per successivi ampliamenti, cioè venivano prese quantità sempre
più grandi come continuazione di un processo che non ha limite, ed
è per tale motivo che questo tipo d’infinito è detto
potenziale, perché è considerato come un processo di ricorsione
illimitato. Con questa nuova definizione, un insieme è infinito se
gode di una ben precisa proprietà, quella di essere equipotente ad una
sua parte propria, ed è per questo che è detto infinito in
atto
o infinito attuale. Questa definizione sembra essere
paradossale, va infatti contro il senso comune secondo il quale il tutto
è maggiore della parte. In effetti questi paradossi non nascono dalla
definizione, ma sono insiti nella natura stessa dell’infinito, infatti come
ha dimostrato lo stesso Galileo, essi si verificano anche con la concezione
dell’infinito potenziale. Anzi la genialità della definizione sta
proprio in questo, usare questo paradosso proprio come proprietà
caratterizzante dell’infinito.

      Definiamo insieme
numerabile
un insieme infinito che può essere messo in
corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri naturali. Quindi per
quanto finora detto gli insiemi Z e Q sono insiemi numerabili,
mentre per l’insieme dei numeri reali R sussiste il seguente

Teorema (Cantor). L’insieme dei numeri reali ha
una potenza maggiore dei numeri naturali (e quindi degli interi e dei
razionali).

Se un insieme è equipotente all’insieme dei numeri
reali si dice che esso ha la potenza ( o cardinalità) del
continuo
.

      A questo punto abbiamo
due tipi di infinito diversi, quello della cardinalità del numerabile
e quello della potenza del continuo. Viene spontaneo chiedersi se esiste un
insieme infinito la cui cardinalità sia compresa tra la potenza del
numerabile e quella del continuo.

      La risposta alla domanda
è la seguente:

Ipotesi del continuo: non esiste nessun insieme
A la cui cardinalità è compresa tra la
cardinalità del naturale e la potenza del continuo.

Come dice lo stesso nome, questa è appunto
un’ipotesi, formulata, tra l’altro, dello stesso Cantor. Ci sono alcuni
matematici che l’accettano e altri che la ricusano, formando cosi due filoni
della matematica, una si ottiene sviluppando la teoria sotto quest’ipotesi e
l’altra si ottiene sviluppando la teoria come essa non esistesse.

      Ritornando all’ipotesi
del continuo, due noti matematici dimostrarono i seguenti fatti:

  1. se gli assiomi di Zermelo – Fraenkel per la teoria degli
    insiemi sono coerenti, allora lo è anche la teoria che si ottiene
    aggiungendo tale ipotesi come ‘assioma’ aggiuntivo, ossia, se assumiamo come
    assioma l’ipotesi del continuo, le teoria che né verrà fuori
    sarà non contraddittoria, ammesso che lo sia la teoria degli insiemi
    senza aggiungere questo assioma.(Gödel 1936)

  2. Nel 1963, Cohen ha dimostrato l’impossibilità
    della negazione dell’ipotesi del continuo, ossia, se assumiamo come assioma
    la negazione dell’ipotesi del continuo, la teoria che né verrà
    fuori sarà non contraddittoria, ammesso che lo sia la teoria degli
    insiemi senza aggiungere questo assioma.

Quindi entrambe le scelte sono, per cosi dire, legittime e
portano a sviluppi interessanti. D’altronde una cosa simile succede per la
geometria; considerati i primi quattro assiomi di Euclide, il V lo si
può accettare, ottenendo cosi la geometria euclidea, o ricusare,
ottenendo cosi le geometrie non euclidee. L’ipotesi del continuo, nella
teoria degli insiemi, può essere considerato come il V postulato di
Euclide per la geometria.

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