Quale fu la possibile procedura seguita dai grandi Astronomi Greci dell’antichità (Aristillo, Timocari, Ipparco, Tolomeo) per eseguire le misure di longitudine di stelle fisse, che portarono alla scoperta del fenomeno della precessione?

Ti consiglio
innanzi tutto di leggere la risposta
ad una precedente domanda per chiarirti le idee su come si esegue la misura
della longitudine stellare con gli strumenti moderni e su come è possibile
dedurre la precessione degli equinozi indirettamente, valutando la posizione
del sorgere degli astri.

A questo
punto la risposta alla tua domanda è che gli astronomi greci dell’antichità
non erano in grado di misurare con precisione le coordinate delle stelle
fisse ma poterono lo stesso dedurre la precessione degli equinozi con
i suddetti metodi indiretti. Infatti, benché le misure di latitudine (o,
per usare il termine astronomico, di declinazione) richiedano solo uno
strumento che permetta di valutare l’altezza degli astri sull’orizzonte,
tipo il

sestante, ma anche un bastone con applicato un goniometro va benissimo,
la misura della longitudine (o meglio dell’ascensione retta) richiede
un riferimento di tempo preciso e la conoscenza esatta delle coordinate
geografiche del luogo di osservazione. Se preferisci, presi i tre seguenti
ingredienti:
1 – ascensione retta delle stelle,
2 – coordinate geografiche precise,
3 – un orologio.
Possedendone due si può ricavare il terzo.
Come
puoi ben intuire, nella Grecia antica non si possedeva nessuno dei tre

“ingredienti”.

Riporto
di seguito un paio di esempi che ti potranno fare intuire come sia complicata
la misura di cui parli usando strumenti rudimentali. Non per nulla l’origine
delle coordinate terrestri è assunta in corrispondenza di uno degli osservatori
astronomici più importanti del 18° secolo (Greenwich), dal quale si eseguivano
misure di posizione delle stelle.
Inoltre è interessante sapere che una delle cause più frequenti dei naufragi
fino al 1700 era l’impossibilità di conoscere con esattezza la propria
longitudine in mare, proprio perché, pur avendo misurato dagli osservatori
in Europa le coordinate delle stelle, non si possedevano orologi che funzionassero
bene sulle navi e che perdessero pochi secondi nel corso delle settimane
di navigazione. Questo problema, noto come il problema della longitudine,
era talmente sentito che le marine di tutti i regni europei hanno lungamente
tentato di risolverlo. Un’idea promettente era dedurre l’ora dalle fasi
dei satelliti di Giove e fu proprio cercando di calcolare una relazione
tra queste fasi e l’ora di Greenwich che Oersted si accorse che il periodo
orbitale dei satelliti cambiava con la distanza della Terra da Giove,
da cui capì che la velocità che la luce impiegava a raggiungerci era finita
e fu in grado di calcolarne il valore.
La soluzione al problema della longitudine si ebbe con John Harrison,
un orologiaio che inventò intorno al 1750 degli orologi meccanici che
potevano funzionare in qualunque condizione ed erano precisissimi. Harrison
non ebbe mai la favolosa ricompensa che il governo inglese aveva promesso
per chi avesse risolto il problema della longitudine, per via dell’opposizione
degli astronomi di corte britannici, che avevano ideato altri metodi basati
sulla misura della posizione della Luna, metodi che però erano meno precisi
e richiedevano una laurea in meccanica celeste per essere utilmente applicati.