Gentilmente, vorrei avere delucidazioni sul concetto di Geosinclinale. Grazie.

geosinclinali

Premessa

Il concetto di geosinclinale e la relativa teoria si collocano all’interno della storia della geologia moderna. È necessario risalire indietro nel tempo di oltre un secolo e mezzo per inserire questo argomento nel suo preciso contesto quando si accendono le prime dispute sulla struttura e sulla formazione della Terra. Dobbiamo subito precisare che, per quanto vaste sembrino le conoscenze in geologia, la scienza moderna che studia
la Terra è molto “giovane”.

Per rendere l’idea del rapporto tra l’età della Terra
(circa 4,5 miliardi di anni) e la vita dell’uomo su di essa e per immaginare
quanto il sapere umano sulla storia del nostro pianeta sia recente e precario,
supponiamo che la Terra abbia un solo anno di vita (365 giorni), ponendo la sua
data di nascita al primo gennaio. In questa “scala ridotta”:

  • le prime forme di vita apparsero negli oceani il 1º maggio (realmente circa 3 miliardi d’anni
    fa).

  • Le piante ed i vertebrati terrestri sarebbero apparsi il 30 novembre (a circa 4,2 miliardi di età della Terra, cioè 300 milioni di anni fa).

  • I dinosauri
    apparsero il 15 dicembre ed i mammiferi solo il 31 dicembre.

  • La comparsa dell’uomo e la sua presenza comprenderebbero gli ultimi pochi minuti.

  • L’impero
    romano avrebbe dominato solo per 5-6 secondi
    .

  • Le ricerche geologiche moderne e le relative conoscenze
    esisterebbero da poco più di un secondo!

Le ipotesi e le teorie sull’orogenesi (formazione delle catene montuose) hanno via via dimostrato la loro provvisorietà e la loro continua evoluzione. Nel tempo, infatti, come è accaduto e accade ancora in qualsiasi settore del sapere umano, nuove ipotesi si affacciano e invalidano teorie precedenti. Così è stato anche nel campo della geologia.

Per comprendere le attuali conoscenze geologiche bisogna
ripercorrere i fatti storici che
le hanno precedute. Questa scelta s’impone perché chi scrive è convinto che la sola trasmissione d’informazioni o di notizie delle materie scientifiche può generare una scarsa comprensione di come si sia pervenuti a certe conclusioni.

Il processo storico di ricostruzione della teoria rientra, quindi, nel metodo di chi risponde.

Non partiremo certo dalle teorie “immobiliste” sull’origine della Terra, ma dalle premesse che
hanno poi permesso lo sviluppo della “grande invenzione” di Wegener sull’ipotesi della deriva dei continenti che, dopo molte critiche e grazie alle scoperte avvenute solo nel dopoguerra, trova conferma (1962) dall’ipotesi di Hess sull’espansione dei fondali oceanici e fornisce gli spunti per l’elaborazione successiva della teoria della tettonica delle placche perfezionatasi solo negli anni Sessanta e sviluppatasi ulteriormente con nuove ipotesi negli anni Novanta.

Un’ipotesi di scoperta non avviene per caso, ma è il frutto di un percorso storico che colloca la scoperta in un certo contesto che comprende gli avvenimenti che l’hanno preceduta e quelli che l’hanno seguita.

La struttura del testo è costituita dalla
“storia” che ha portato Hess a formulare la propria teoria. Si
sarebbe potuta percorrere una via più breve, saltando qualche passaggio, ma ciò
sarebbe andato a scapito della comprensione della grandezza delle scoperte
avvenute.


Le prime dispute sulla struttura della Terra
e le teorie orogenetiche fino al 1960.

Verso la metà del 1800, gli studi della gravità indicavano che l’Himalaya apparentemente esercitava un’attrazione gravitazionale molto inferiore a quella che ci si sarebbe aspettati dalla sua enorme massa. Divenne convinzione comune che le
rocce più leggere, costituenti le montagne, si spingessero in profondità nella crosta sottostante.

Nel 1855 G. B. Airy formulò l’ipotesi che sotto la crosta solida della Terra ci sia uno strato di materiale che si comporta come un fluido ed è più denso della crosta solida e che può considerarsi come se galleggiasse su di esso. Era il preludio del principio d’isostasia applicato alla geologia.

J. D. Dana e la contrazione della Terra

Nei decenni precedenti erano peraltro stati fatti tentativi di individuare le forze
motrici della dinamica terrestre, a partire dalle teorie chimiche del
sollevamento, opera dei nettunisti, o dai “crateri di sollevamento” del
catastrofista von Buch (1815). Se quest’ultima teoria ancora postulava forze a
direzione verticale, l’idea di una Terra evolutasi a partire da uno stadio
primordiale di completa fusione (idea che avrebbe finito per dominare tutto il
diciottesimo secolo), aveva suggerito a Léonce Élie de Beaumont (1829) una
spiegazione delle orogenesi basata su sforzi laterali, connessi a loro volta
con la contrazione della Terra per raffreddamento (la famosa immagine della mela che si
raggrinziva, disseccandosi).

Nella
seconda metà del secolo, uno sviluppo della concezione di Élie de Beaumont
aveva portato l’americano James Dwight Dana a sviluppare la sua
teoria delle geosinclinali, enormi depressioni, corrispondenti agli oceani e frutto
della contrazione primitiva della Terra. Le geosinclinali erano aree
stabilmente depresse, che avrebbero raccolto, dunque, tutti i sedimenti
prodotti dall’erosione subaerea; il proseguire della contrazione terrestre
avrebbe determinato la deformazione dei loro margini continentali e la nascita
di catene di montagne affacciate sull’oceano (gli Appalachi). Questa idea, più
o meno rimaneggiata e aggiustata, sarebbe sopravvissuta per almeno un secolo e
non è l’ultima delle ragioni della decisa opposizione degli americani alle
teorie di Wegener.

Con
Dana si sviluppa quella visione fissista
della Terra che non fu certo scalfita da episodiche
ricostruzioni mobiliste
, ove i
continenti appaiono aver subito forti spostamenti laterali.


Dutton ed il principio di isostasia.

Verso la fine del 1800 venne enunciato da Dutton il principio di isostasia in cui si afferma che i blocchi crostali galleggiano sul mantello sottostante grazie ad una spinta dal basso simile alla spinta idrostatica di Archimede; ciò determina uno sprofondamento maggiore dei blocchi litosferici continentali di
spessore più elevato e meno densi dei blocchi litosferici oceanici.

Il fenomeno è analogo a quello che si verifica ponendo dei blocchetti di legno di uguale massa, ma di densità differente (quindi anche di volume diverso) in un recipiente di acqua: il blocco più voluminoso affonda nell’acqua tanto più dell’altro, quanto più alta è la parte emersa.

Se i blocchi litosferici non si trovano in equilibrio isostatico, tenderanno
a raggiungerlo diminuendo o aumentando la parte sommersa, a seconda che la
parte emersa subisca un innalzamento o un abbassamento.

Erano dunque poste le basi per enunciare il concetto della geosinclinale.
Con il termine geosinclinale si indica un’area di subsidenza, cioè in continuo abbassamento, in cui si ha una forte sedimentazione e fenomeni di metamorfismo. Tali aree si trovano vicino ad una scarpata continentale ove si accumula una grande quantità di sedimenti stessi provenienti dal continente stesso. Lo spessore dei sedimenti è notevole
proprio a causa della subsidenza poiché se l’area si abbassa non viene
mai colmata, ma crea nuovo spazio per ulteriore sedimentazione. In seguito a spinte tangenziali, le geosinclinali iniziano a subire un ripiegamento, i sedimenti nella compressione vengono piegati e aumentano di spessore, si formano magmi e le rocce subiscono metamorfismo a causa delle forti pressioni.

Teoria orogenetica della geosinclinale.

Il geologo americano James Dana, nel 1870, dette il nome di geosinclinale alla fossa lunga e stretta sistemata in prossimità dei continenti in cui si accumulano e si costipano i materiali destinati ad evolvere in una catena montuosa di corrugamento.

La nascita, evoluzione e conclusione di un’orogenesi si articola in corrispondenza di una geosinclinale, che nel suo schema classico si suddivide in una zona rigida cratonica, posta sul bordo esterno, che si affaccia su una fossa, detta avanfossa, caratterizzata da una forte subsidenza,
mentre lungo l’altro bordo della geosinclinale si ha una zona rigida detta avanpaese (il continente).

In
corrispondenza dell’Avanfossa, per effetto della compressione esercitata dalla
Zona Cratonica e dall’Avanpaese, legate alla Tettonica a Placche, si avrà il
corrugamento dei sedimenti accumulativisi, cioè la formazione della Catena Orogenica.

Il modello, in sostanza, spiegava la formazione dei continenti e dei bacini oceanici e fu applicato con successo nel Nord America dove le catene montuose più importanti sono adiacenti all’oceano Pacifico ed a quello Atlantico. Tuttavia, tale modello non spiegava la formazione delle catene montuose intracontinentali.

Negli anni immediatamente precedenti la teoria della tettonica delle placche, anche
lo schema di geosinclinale era stato revisionato. Vennero individuati due tipi
di geosinclinale separati da una zona rilevata chiamata ruga: una miogeosinclinale più vicina alla costa, in cui si
depositano sedimenti di mare basso e una eugeosinclinale
più al largo, in cui accanto a
sedimenti di mare più profondo vengono emesse rocce vulcaniche. Quando si
verifica un’orogenesi, le forze che la producono spingono l’intero pacco dei
sedimenti delle due geosinclinali verso il continente (detto con termine
tecnico avanpaese
)
che rimane praticamente indeformato. Anche sui continenti vennero individuate
due strutture geologiche fondamentali: le aree stabili, spianate dall’erosione,
dette cratoni
,
e quelle instabili, dette orogeni
. I cratoni, distinguibili in scudi (se
leggermente arcuati come uno scudo poggiato a terra) e tavolati, rappresentano
la porzione più antica e pianeggiante della parte emersa del pianeta priva di
vulcanismo e di sismicità, mentre gli orogeni presentano invece caratteristiche
di debolezza, possono essere deformati, sono sede di fenomeni magmatici e
sismici e mostrano un profilo topografico piuttosto accidentato.

Il modello terrestre di E. Suess.

Un analogo modello della Terra fu ideato dal geologo austriaco Edward Suess (1831-1914).

Nel corso della progressiva contrazione e solidificazione della massa fusa, i materiali più leggeri venivano spostati verso la superficie dando origine a rocce metamorfiche chiamate sial,
mentre al di sotto vi erano rocce più dense dette sima, ricche di
magnesio, ferro e calcio.

Le catene montuose si sarebbero prodotte per contrazione in modo analogo alle grinze che si formano su di una mela che si appassisce e si
contrae. Su scala maggiore, una pressione complessiva d’inarcamento avrebbe fatto sì che certi settori della superficie terrestre sprofondassero dando origine agli oceani, mentre i continenti rimanevano sopraelevati. Nel corso del tempo certe aree continentali sprofondavano più velocemente di quelle adiacenti ed erano sommerse dal mare, mentre in altri periodi parti temporaneamente stabilizzate del fondo dell’oceano sarebbero emerse nuovamente in forma di terraferma.

Però, sia le formulazioni di Dana che quelle di Suess, pur non essendo in contrasto con la teoria della isostasi, negavano implicitamente la possibilità di movimento laterale delle masse continentali attraverso gli oceani.

Taylor e lo scorrimento crostale.

Prima di Wegener, il geografo e geologo americano F.B. Taylor nel 1910 pubblicò un articolo in cui sosteneva che l’ipotesi tradizionale della contrazione fosse inadeguata a spiegare in modo soddisfacente la distribuzione delle catene montuose del Terziario e la loro giovinezza.

Taylor immaginò un massiccio movimento di scorrimento della crosta terrestre da nord verso la periferia dell’Asia. Nell’articolo di Taylor il concetto di scorrimento crostale dalle alte latitudini a quelle basse
dell’emisfero settentrionale veniva sostenuto con riferimento alla Groenlandia, che si immaginava fosse il residuo di un antico massiccio da cui si erano staccate, lungo fosse di spaccatura, il Canada e l’Europa settentrionale. La tesi di Taylor mancava tuttavia in un punto importante e cioè il meccanismo del movimento che produceva lo spostamento delle masse continentali. L’ipotesi delle forze di marea quando la Luna durante il Cretaceo venne catturata dalla Terra dovette sembrare fantasiosa ai geologi suoi contemporanei, ma risultò un contributo importante per la teoria elaborata da Wegener.


WEGENER e la teoria della deriva dei continenti.

Alfred Wegener (1880 – 1930)
dal 1924 occupò una cattedra di meteorologia e geofisica a Graz in Austria. A
partire dal 1910 si dedicò ad elaborare la teoria
della deriva dei continenti
.


Fin dai primi anni di studio aveva accarezzato il progetto di esporare la Groenlandia e, dopo aver imparato ad usare aquiloni e palloni per osservazioni meteorologiche, assieme a suo fratello Kurt nel 1906 stabilì il record mondiale di volo aerostatico ininterrotto di 52 ore.
Fece parte, come meteorologo, di una spedizione danese nella Groenlandia nord-orientale; partecipò con l’esploratore danese J.P. Koch ad una seconda spedizione in Groenlandia, nota per la più lunga traversata a piedi della calotta polare mai effettuata. Morì nel 1930 probabilmente per un attacco cardiaco nel corso di una terza spedizione in Groenlandia da lui guidata.

L’idea della deriva dei continenti, scrive Wegener nella sua trattazione “The Origin of Continent and Oceans”, “mi si presentò già nel 1910. Nell’esaminare la carta geografica dei due emisferi, ebbi l’impressione immediata della concordanza delle coste atlantiche, ma ritenendola improbabile non la presi per allora in considerazione. Nell’autunno del 1911, essendomi capitata in mano una
relazione su un antico collegamento continentale tra il Brasile e l’Africa,
venni a conoscenza dei risultati paleontologici ottenuti, a me ignoti fino
allora. Ciò mi spinse a prendere in esame i dati acquisiti nel campo geologico e paleontologico riferentesi a questa questione: ora, le osservazioni fatte furono così notevoli che si radicò in me la convinzione dell’esattezza fondamentale di quell’idea. Idea che resi nota per la prima volta il 6 gennaio 1912, in una conferenza tenuta alla Società Geologica di Francoforte sul Meno su: “La formazione dei continenti e degli oceani in base alla geofisica”. A questa conferenza ne seguì il 10 gennaio una seconda su: “Gli spostamenti orizzontali dei continenti” che tenni alla Società per il Progresso delle Scienze naturali di Marburgo.”

Secondo la sua ipotesi, nel Paleozoico e per quasi tutto il Triassico, le terre emerse furono raggruppate in un unico, enorme continente che lo stesso Wegener denominò Pangea. Le acque contemporaneamente costituivano un solo
sterminato oceano denominato Panthalassa.

Circa 200 milioni di anni fa la Pangea avrebbe cominciato a frammentarsi lentamente, dapprima in due parti:
una a nord dell’equatore chiamata Laurasia che comprendeva il Nordamerica e l’Eurasia attuali; l’altra a sud, chiamata Gondwana, circondate
entrambe dall’oceano denominato Thetys
.

Lentamente i due supercontinenti, Laurasia e Gondwana si ruppero in parti più piccole che andarono alla deriva sulla costa oceanica fluida. La Laurasia andò alla deriva verso Nord, mentre il blocco America del Sud-Africa si staccò dal blocco Australia-Antatide.

Durante il Cretaceo, il Sud America e l’Africa si erano
già allontanati, mentre solo nel Neozoico Europa ed America Settentrionale si separarono definitivamente come avvenne per il Sud America e l’Antartide.

Ma il punto debole dell’impalcatura della teoria di Wegener era l’incertezza delle forze motrici, come egli stesso ammette: ” il Newton della teoria della deriva non è ancora apparso… è probabile che
la soluzione completa del problema delle forze motrici sia ancora lontana a
venire, perché significa districare un groviglio di fenomeni interdipendenti in
cui spesso è difficile distinguere la causa dall’effetto
..

Egli formulò, tuttavia, alcune ipotesi indicando due
possibili componenti. Una cosidetta forza di fuga dei poli che doveva spiegare
i movimenti dei continenti verso l’equatore e una sorta di forza di marea per
spiegare la deriva verso ovest dei continenti americani.

Le critiche all’ipotesi di Wegener.

L’obiezione più forte, fu comunque quella che
sottolineava l’incompatibilità tra il movimento continentale e le idee
accettate sulla struttura della crosta. Anche se i continenti erano zattere di
sial galleggianti sul sima, quale forza era in grado di superare l’enorme
attrito e di spingerli lungo la superficie terrestre? Il geofisico britannico
Harol Jeffreys calcolò che i meccanismi di Wegener erano troppo deboli per superare l’attrito tra i continenti e la crosta sottostante.

Holmes e la teoria delle correnti
convettive.

Vi furono tuttavia alcuni sostenitori ed in particolare il geologo inglese Arthur Holmes (1890 – 1965) che attorno al 1930, proponendo un meccanismo per il movimento dei continenti molto più plausibile di quello avanzato da Wegener, contribuì notevolmente a rafforzare considerevolmente l’ipotesi della deriva dei continenti.

Holmes aveva raggiunto una notevole fama anche per le sue ricerche sulla petrologia ignea e nel 1925 venne chiamato alla cattedra di geologia dell’università di Durham.

La sua teoria presupponeva che le rocce semifluide che costituiscono il mantello interno della Terra fossero continuamente rimescolate da correnti convettive del tutto analoghe a quelle che si originano portando ad ebollizione una pentola d’acqua. L’acqua che si trova a contatto con il fondo della pentola, scaldandosi si dilata e diviene più leggera di quella che le sta sopra.
Per il principio di Archimede, la parte di acqua più calda e leggera tende a risalire a spese di quella più pesante e fredda, dando così origine ad una corrente
convettiva
ascendente.
Lo spazio lasciato libero dall’acqua che
risale, a sua volta, viene occupato
dall’acqua più fredda, dando così origine ad una corrente
convettiva discendente
.
Il motore che provoca la deriva dei continenti è del tutto simile: le rocce che si trovano alla base del mantello sono a contatto con il nucleo e vengono perciò riscaldate notevolmente rispetto a quelle che si trovano nella parte esterna. Il materiale caldo tende a risalire dal mantello profondo ed una volta raggiunta la superficie si raffredda. Una volta divenuto freddo questo materiale dovrà necessariamente affondare nel mantello provocando increspature in superficie.

I movimenti del mantello causati dai moti convettivi trascinano la crosta terrestre. La grande forza di questo trascinamento provoca fratture che dividono la crosta terrestre in pezzi detti zolle o placche crostali. Nei punti in cui il magma risale, la crosta è spinta in due direzioni diverse e quindi si frattura. Dalla frattura esce il magma del mantello. Il magma si raffredda e va a formare una doppia catena di montagne ai lati della frattura: essa è detta dorsale. Tale fenomeno avviene soprattutto negli oceani dove la crosta è più sottile e dove si formano immense
catene sottomarine dette dorsali medie oceaniche. Nei punti invece del mantello dove il materiale scende trascina con sé le placche che scontrandosi producono subduzione, cioè una conduzione al di sotto.
Nei punti in cui avviene la subduzione c’è una deformazione della crosta che
produce una fossa cioè un
punto particolarmente profondo
.
A causa della rotazione terrestre le correnti
ascensionali sarebbero deviate verso ovest e quelle discendenti verso est.

Holmes proseguiva sottolineando una quantità di
altre conseguenze geologiche e chiarì che la sua ipotesi forniva spiegazioni plausibili di importanti fenomeni come le geosinclinali e le fosse tettoniche.

Gli sviluppi in nuovi campi di ricerca nel dopoguerra.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’applicazione
di tecniche geofisiche nuove e più perfezionate cominciò a trasformare radicalmente le conoscenze della Terra e queste alla fine dovevano produrre una profonda rivoluzione nel pensiero verso un punto più “mobilista”. Lo sviluppo più significativo fu l’enorme intensificazione degli studi sul magnetismo delle rocce.

Per circa un ventennio vari studiosi ricercarono e formularono ipotesi fino alla scoperta della espansione dei fondali oceanici che permise di
consolidare la teoria della deriva dei continenti mossi dai moti convettivi del
mantello. Infatti, abbandonata la teoria di Wegener, nel 1962 Hess
propose un’affascinante teoria sull’espansione dei fondi oceanici. Prima di
addentrarci nella teoria bisognerebbe precisare come si struttura il fondo degli oceanici, ma tralasciamo questo
argomento per avviarci alla conclusione.

Solo negli anni Novanta emerse una nuova ipotesi che oggi, assieme alla
prova della espansione degli oceani, è la più accreditata presso la comunità scientifica dei geologi: motore della deriva dei continenti non sarebbero i moti convettivi bensì la rotazione terrestre.
(vedi http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=1946).

Concludiamo dicendo che tutte le teorie precedenti la conferma della teoria di Wegener nel 1962, sono state abbandonate: la teoria plutonica, la teoria della contrazione, la teoria isostatica e la teoria delle geosinclinali sono state superate, ma non va dimenticato che esse hanno contribuito notevolmente agli sviluppi delle successive conoscenze geologiche relative alla orogenesi.