Per chi abita in un condominio a circa duecento metri da un’antenna radiotelevisiva impiantata sul suolo e alta come un edificio di otto piani (la sommità è un grosso puntale, presumo, quindi si definisca antenna trasmittente), quali sono gli strumenti, o le strutture di esperti, a disposizione per rilevare l’intensità elettromagnetica prodotta nell’abitazione ai fini della tutella della salute? Grazie per questo Vostro servizio.

Come al solito, ho cercato nella domanda
gli elementi di interesse generale, ricordando che Chiedi
all’esperto
è una rubrica di divulgazione
scientifica che non può farsi carico di casi e problemi
particolari o personali e, nel dare risposte in tema di salvaguardia
dalle esposizioni ai campi elettromagnetici, intende soddisfare
curiosità di tipo scientfico e non sostituirsi
né ai servizi pubblici (nel dare pareri sanitari) né
alle associazioni di cittadini (nel dare consigli pratici di
“sopravvivenza civile”).

La situazione italiana per quanto riguarda le strutture
pubbliche di tutela della popolazione dalle esposizioni ai campi
elettromagnetici a bassa frequenza, radiofrequenza e microonde è
abbastanza complessa e variegata, poiché presenta
disomogeneità da regione a regione,
soprattutto in funzione delle vicende locali che hanno
causato una più o meno pronta applicazione delle varie
disposizioni di legge.

Inizialmente (grosso modo fino alla fine degli anni 70),
questo tipo di tutela era affidata ai servizi di base delle USL:
Servizio di Medicina del Lavoro, per quello che
concerne le esposizioni legate all’attività professionale,
e Servizio di Igiene Pubblica e del Territorio, per le
esposizioni delle popolazione in ambiente domestico ed esterno. Il grado
di competenza e di dotazione tecnica di questi enti era estremamente
diversificato, sostanzialmente in funzione dell’iniziativa locale.
Successivamente (anni 80), una grande riforma del sistema
sanitario nazionale portò all’istituzione dei Presidi
Multizonali di Prevenzione
, organi dotati di apposite
competenze tecnico-scientifiche per far fronte ai problemi di
sicurezza impiantistica e di rischio da inquinamento di tipo
chimico, fisico e batteriologico, sia nel mondo del lavoro sia
negli altri ambienti.

Alcuni anni or sono, a seguito di un noto referendum,
tutte le competenze di tipo ambientale (compresa la sorveglianza
dei campi elettromagnetici) furono sottratte al Servizio
Sanitario Nazionale, e perciò ai Presidi Multizonali di
Prevenzione, con l’intenzione di essere affidate ad apposite
agenzie indipendenti (ARPA, Agenzie Regionali di
Protezione dell’Ambiente), coordinate da una agenzia nazionale
(ANPA).
Non in tutte le regioni sono però ad oggi state istituite
le ARPA: so con certezza che esse sono operanti in
Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana.

In sintesi, a seconda del posto e della situazione, gli
aspetti fisici della protezione dalle esposizioni ai campi
elettromagnetici vengono curati da fisici che operano, in Italia,
principalmente nelle seguenti istituzioni pubbliche.

  • Dipartimenti universitari (fisica, ingegneria, medicina).
  • Enti pubblici di ricerca (CNR, ENEA).
  • Istituto Superiore di Sanità (ISS).
  • Istituto Superiore per la Prevenzione E la Sicurezza del
    Lavoro (ISPESL).
  • Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA).
  • Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA).
  • Servizi (ospedalieri) di Fisica Sanitaria delle Aziende
    Sanitarie Locali.
  • Sevizi di base (Igiene Pubblica e del Territorio, Medicina
    del Lavoro) e Presidi Multizonali di Prevenzione delle Aziende
    Sanitarie Locali.

In tutte queste istituzioni si svolgono, più o meno,
attività di ricerca e di servizio sul territorio: per come è
stata compilata la lista, via via che si procede dall’inizio alla
fine l’attività di servizio tende a prevalere su quella di
ricerca.

Secondariamente, al problema si interessano anche istituzioni
private, soprattutto piccole aziende di consulenza (in crescita,
nate al seguito della legge 626 sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro) e – ma in misura minore – aziende che vogliono risolvere
al proprio interno problemi di esposizione ai CEM legati alle
tecnologie produttive impiegate.

Gli strumenti che queste istituzioni hanno a
disposizione per svolgere il loro lavoro si dividono
sostanzialmente in due categorie: metodi di valutazione teorica e
strumentazione di misura specialistica. Entrambi devono essere
supportati da competenze specifiche, da acquisirsi con appositi
corsi di formazione professionale. Il tutto è (o dovrebbe
essere) completato dai riferimenti normativi che non solo
specificano i limiti massimi a cui possono essere esposti
popolazione e lavoratori, ma in molti casi indicano anche le
procedure ed i protocolli standardizzati di intervento,
valutazione e misura.