Emiliano chiede: Quale percentuale di sicurezza offre l’esame del DNA nel riconoscimento della paternità? E’ necessario utilizzare un campione di sangue o è possibile ricorrere ad altri tipi di tessuto (capelli, pelle, …)?

Partiamo da un esempio semplice, come il caso di una copia di persone con pelle ed occhi chiari. Se nasce un bambino di pelle scura il marito non ha bisogno di fare un test di Dna, per sapere che il bambino NON è suo figlio biologico, dato che la pigmentazione della pelle è una caratteristica visibile senza bisogno di analisi.
Ma un figlio con occhi e pelle chiari può lo stesso NON essere figlio suo, infatti le persone bionde con occhi chiari sono troppo numerose perché questo carattere da solo basti a dare conferma.

Il gruppo sanguigno è una caratteristica meno visibile che si determina con una analisi semplice e ormai molto diffusa. Anche in questo secondo caso l’analisi stabilisce con sicurezza quando esiste incompatibilità tra sangue del bimbo e sangue del padre non biologico.

Per esempio da una copia formata da persone ambedue 0+ non possono nascere figli con sangue A o B o AB. Sfortunatamente anche il gruppo sanguigno 0+ ha una forte diffusione e da solo non è un criterio sufficiente.

In ambedue i casi si è lavorato sull’espressione dei geni, cioè sugli effetti dell’azione del patrimonio genetico. Con l’analisi del DNA si lavora invece direttamene sul materiale genetico, mettendolo a confronto il DNA del figlio con il DNA dei genitori. Nel nucleo del figlio si sono 23 coppie di cromosomi e ogni paio è formato da un cromosoma che deriva dalla madre e uno dal padre. L’analisi può essere eseguita anche solo su due campioni, quello paterno e quello del figlio.

Dato che il DNA è contenuto in tutte le cellule, non è necessario prelevare un campione di sangue, si utilizzano altrettanto bene campioni di mucosa boccale prelevata con un tampone che invece di avere una punta in cotone, ha una punta simile ad uno spazzolino in grado di raschiare qualche cellula dalla parete della bocca. Anche i capelli possono essere utilizzati ma solo se sono staccati direttamente dal cuoio capelluto con il bulbo pilifero. Il prelevare la saliva poi è comodo soprattutto in caso di bambini piccoli, come succede spesso in casi di disconoscimento di paternità.

Tramite una tecnica chiamata PCR, (polymerase chain reaction), il DNA viene riprodotto milioni di volte fino ad ottenerne una quantità sufficiente di materiale per eseguire l’analisi su piastra di gel. Nella figura esemplificativa si sono messi a confronto il DNA materno, quello del bambino, e quello di due uomini, uno dei quali si presume sia il padre biologico. Si appoggiano i campioni alla base della lastra e da qui il DNA corre per un tempo fissato. Campioni uguali percorrono spazi uguali.

M = madre C = figlio (child in inglese) AF1= primo uomo AF2= secondo uomo

Il DNA del bambino è formato da due strisce, una che percorre uno spazio uguale a una striscia del DNA materno e una coincidente con una striscia del campione AF1.

Il campione AF2 non dimostra alcuna affinità e quindi viene escluso con una sicurezza del 100%. Diverso è il ragionamento per attribuire la paternità, dato che il DNA esaminato è solo una parte del DNA totale. Si ipotizza infatti che i geni totali siano 100.000, formati da circa tre miliardi di subunità, e solo l’analisi totale darebbe la certezza dell’attribuzione di paternità. Questo non è necessario perché data la grande variabilità del patrimonio genetico da persona a persona, se si analizzano più settori e in tutti il DNA conferma la sua affinità, si può arrivare ad una attribuzione di paternità con una percentuale di accuratezza del 99.9%

Vedi:

Progetto Genoma http://www.ornl.gov/hgmis/

e, in italiano: http://www.geocities.com/HotSprings/Bath/9940/page49.html