Il 26 dicembre 2004 perchè la popolazione asiatica non è stata avvisata dell’arrivo dello tsunami? Non si potevano inviare sms ai cellulari?

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Lo tsunami del 26 dicembre 2004 ha interessato 18 stati dell’area dell’Oceano Indiano (Figura 1): Indonesia, Tailandia, India, Sri-Lanka, Malaysia, Myanmar, Bangladesh, Maldive, Isola di Reunion (Francia), Seychelles, Madagascar, Mauritius, Somalia, Tanzania, Kenya, Oman, Sud Africa e Australia.


Fig. 1- Cartina della zona geografica colpita da tsunami il 26 dicembre 2004.

Il 26 dicembre 2004, il Pacific Tsunami Warning Center (PTWC) di Ewa Beach (Hawaii) ha rivelato velocemente (in soli 15 minuti) il terremoto a Nord di Sumatra, ma poichè la sua sorgente era localizzata ben al di fuori della sua area di responsabilità (Figura 2), non è stato emesso un allarme per le zone interessate.


Fig. 2- Area di responsabilità del Pacific Tsunami Warning Center (PTWC).

Lo Tsunami Bulletin n° 1(1) diceva “Sulla base dei terremoti storici e dei dati sugli tsunami, c’è la minaccia di uno tsunami non distruttivo”. É da notare che la prima magnitudo attribuita al terremoto era 8.0, che più tardi (dopo 50 minuti) è stata aggiornata a 8.5. Lo Tsunami Bulletin n° 2 diceva già “c’è la possibilità di uno tsunami vicino all’epicentro”. A quel momento, il PTWC non aveva mezzi per determinare quanto grande fosse lo tsunami, nè se si sarebbe effettivamente generato. Vale la pena ricordare che solo tre giorni prima (il 23 dicembre 2004) il PTWC aveva analizzato un altro terremoto di magnitudo 8.1 avvenuto 150 km a Sud-Est della Nuova Zelanda. Questo terremoto sottomarino non aveva dato luogo a nessuno tsunami, solo piccole onde (25 cm) erano state successivamente identificate nelle registrazioni della stazione di misurazione di maree più vicina (Jackson Bay, Nuova Zelanda). Il valore di magnitudo 9.0 per il sisma del 26 dicembre è arrivato circa un giorno più tardi, quando il gruppo Harvard CMT (Centroid Moment Tensor) aveva raccolto informazioni dalla rete di stazioni sismiche distribuite per tutto il globo.

Sia la Tailandia che l’Indonesia sono membri dell’ International Tsunami Coordination Group for the Tsunami Warning System in the Pacific (ICG/ITSU) sostenuto dall’Intergovernmental Oceanographic Commission dell’UNESCO(2). Tuttavia la Tailandia, non avendo esperienza di danni dovuti a tsunami nella storia recente, ha perso da tempo i contatti con il gruppo ITSU e quindi il Quartier Generale del Dipartimento Meteorologico Tailandese (TMD) a Bangkok non riceveva i test mensili inviati dal PTWC. Negli ultimi 20 anni la Tailandia non ha mai mandato i suoi rappresentanti alle sessioni semestrali del gruppo ITSU.

La persona che era di servizio al Centro di Monitoraggio Sismico (SMC) del TMD quella domenica mattina è stata informata del terremoto da una telefonata ricevuta dall’isola di Phuket. L’ufficiale locale del TMD parlava di forti scosse avvertite nell’area di Phuket. Durante l’analisi dei dati sismici inviati al SMC da stazioni più lontane, arrivarono però parecchie altre chiamate che parlavano di un terremoto, da città del nord(3).
Queste chiamate hanno interferito seriamente con il processing dei dati, creando ambiguità sulla situazione tra il personale del SMC. In conclusione, dopo circa un’ora la posizione del forte terremoto (M = 8.0) era stata determinata a circa 100km a Ovest delle coste di Sumatra. Nessuno al SMC in quel momento ha pensato al catastrofico tsunami che avrebbe potuto seguire questo terremoto. Il meccanismo sorgente del terremoto era sconosciuto, la sua magnitudo grande ma non straordinaria, e le principali spiaggie sulla costa occidentale della Tailandia sembravano ben protette dall’estremità settentrionale dell’isola di Sumatra. Quando l’ufficio del TMD a Bangkok ha cominciato a ricevere chiamate da Phuket che parlavano di onde distruttive, era ormai troppo tardi per prendere qualsiasi iniziativa per mettere in guardia altre parti delle coste Ovest della Tailandia.

Il BMG (l’Agenzia Indonesiana per la Meteorologia e la Geofisica) a Jakarta non ha avuto nessuna possibilità di avvertire le popolazioni della parte Nord di Sumatra dell’incombente pericolo. La prima onda ha colpito Melabou, Calang, Banda Aceh e le altre città costiere prima che chiunque a Jakarta comprendesse la scala e il possibile pericolo di questo terremoto. Quando la magnitudo e la posizione del sisma furono determinate, più di 100000 persone in tre grandi città e in numerosi piccoli villaggi costieri erano già state uccise dalla prima onda. La seconda e la terza onda hanno aggiunto altre migliaia di vittime a questa dolorosa lista. Nonostante il fatto che l’ultimo catastrofico tsunami in Indonesia sia accaduto solo 8 anni fa, non è stato fatto niente per avvertire gli altri paesi sulla possibilità di uno tsunami. La ragione è ovvia – la scala della catastrofe non era nota durante quelle prime ore. Oltre a questo, durante la storia conosciuta nell’Oceano Indiano non è mai stato osservato uno tsunami trans-oceanico. Tutti e tre gli tsunami distruttivi con vittime umane che sono avvenuti negli ultimi 15 anni in quella regione (nel 1992, 1994 e 1996) sono stati eventi locali in cui l’area danneggiata era limitata a non più di 300 km dalla costa più vicina.

Comunque, anche nel caso in cui questi allarmi fossero stati inviati alle autorità centrali di Sri Lanka, India, Maldive e delle altre nazioni coinvolte, non c’era una rete di comunicazione o infrastrutture organizzative tali da consentire la diffusione dell’allarme alle popolazioni costiere. La mancanza di qualsiasi esperienza con il pericolo dello tsunami ha fatto sì che gli allarmi naturali – ritiro del mare, correnti di marea insolite o piccole onde precedenti lo tsunami – non siano stati usati dalla gente per salvarsi la vita.


Altre considerazioni

In caso di grave emergenza, l’uso delle linee telefoniche è alquanto inaffidabile; infatti, l’accesso alla rete telefonica e il dimensionamento sul numero massimo di accessi è calcolato su base statistica dell’uso ordinario della zona e non per eventi straordinari.
Va da sè che, in caso di un allarme per gravissimo pericolo, è impossibile trovare una linea libera sotto il solo prefisso dell’area interessata.
Lo stesso avviene, come molti avranno constatato, con i cellulari alla mezzanotte dell’ultimo dell’anno quando il traffico telefonico s’intasa perche’ tutta Italia usa il telefonino per inviare messaggi o per telefonare gli auguri.
Altro esempio di recente data è quanto avvenuto per la morte del Papa: l’invio di SMS da parte del Ministero dell’Interno verso tutti i cellulari per raccomandare e suggerire di astenersi al mettersi in viaggio; tali SMS hanno impiegato circa 24 ore a raggiungere tutti e, praticamente, al loro arrivo erano obsoleti, quindi inutili allo scopo che si prefiggevano.

Oggi le prefetture ed organizzazioni importanti per la sicurezza, sono collegate con reti alternative a quelle pubbliche: normalmente via radio in onde corte. Ormai è noto a tutti che le comunicazioni nelle prime ore da un disastro sono fondamentali e purtroppo la rete telefonica non è affidabile: va il tilt per sovraccarico.

Alla inadeguatezza delle linee telefoniche in caso di catastrofi va aggiunto che navi, aerei, ma anche aziende, enti pubblici, scuole di ogni ordine e grado, predispongono precise
procedure di evacuazione in caso di pericolo
. La gente, che
periodicamente partecipa ad esercitazioni di evacuazione, sa a chi fare
riferimento (il caposquadra), conosce le vie di fuga e sa dove recarsi e fermarsi perchè considerato posto sicuro.

Tutto questo “deve essere
predisposto in anticipo” e con accurata pianificazione dai responsabili della sicurezza per evitare il micidiale caos inevitabilmente generato da folle terrorizzate. L’ideale sarebbe che le persone non potessero distinguere tra una reale emergenza e una esercitazione di routine: tutto si svolgerebbe in una diligente e relativa calma, senza alcuna aggressività che aggraverebbe la situazione con pericoli aggiunti.



Lanciare, invece, un allarme “reale” a una popolazione impreparata causerebbe di per sé danni, morti, sciacallaggi, e quant’altro. Chi lancia l’allarme ha quindi l’orribile scelta tra i danni causati da un “probabile” maremoto e quelli causati da una “sicura” fuga disordinata di masse terrorizzate. Inoltre, non potendo prevedere esattamente quanta area lo tsunami in corso devasterà, l’allarme dovrebbe essere lanciato “in abbondanza” per estensione, con la consapevolezza di causare migliaia di morti inutili.



Appare quindi ragionevole pensare che non c’e’ nessuna speranza di attenuare gli effetti delle catastrofi
allertando aree non preventivamente organizzate con piani di emergenza
studiati e predisposti per ciascun singolo rischio (incedio, terremoto,
maremoto, alluvione, eruzione vulcanica, ecc.).

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Gli stati membri del TWC sono 26:
Australia Indonesia
Canada Giappone
Cile Messico
Cina Nuova Zelanda
Columbia Nicaragua
Federazione Russa
Perù
Isole Cook
Filippine
Costa Rica
Repubblica di Corea
Repubblica Popolare Democratica di Corea
Singapore
Equador Tailandia
Fiji Regno Unito (Hong Kong)
Francia Stati Uniti d’America
Guatemala Ovest Samoa
Tabella 1 – Elenco degli stati membri del TWC (Tsunami Warning Center).

Note
Nota (1)
Quando i terremoti che avvengono nel Pacifico hanno magnitudo grande abbastanza da generare preoccupazione, il Pacific Tsunami Warning Center avverte le autorità – attraverso messaggi diversi a seconda della gravità della situazione. I messaggi sono inoltre sempre pubblicati sul sito Web del PTWC.

Tsunami Information Bulletin –
Anche se c’è una minaccia, non ci sono prove che uno tsunami stia viaggiando attraverso il Pacifico.

Tsunami Warning
– PTWC ritiene che le condizioni siano abbastanza serie da emettere un allarme immediato a parte del Pacifico. Il messaggio comprende I tempi di arrivo stimati per varie parti del Pacifico.

Tsunami Watch
– PTWC ha stabilito che il terremoto molto probabilmente ha generato uno tsunami e richiede/osserva dati relativi alle maree per confermare l’effettiva generazione di uno tsunami.

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Nota (2) Lo Tsunami Warning System (TWS) nell’Oceano Pacifico, cui partecipano 26 stati membri (vedi tabella più sopra),
ha la funzione di monitorare stazioni sismiche e mareali attraverso
tutto il Pacifico per valutare se un terremoto ha la potenzialità di
generare uno tsunami e per diffondere allarmi. Il Pacific Tsunami
Warning Center (PTWC) è il centro operativo, si trova vicino ad
Honolulu (Hawaii) e fornisce inforamzioni sugli allarmi tsunami alle
autorità nazionali nel bacino del Pacifico.

Come parte di uno
sforzo internazionale comune per salvare vite umane e beni, il National
Oceanic and Atmospheric Administration’s (NOAA) National Weather
Service gestisce due Centri di Allarme Tsunami:

a) l’ Alaska
Tsunami Warning Center (ATWC) di Palmer (Alaska) opera come Centro di
Allarme Tsunami regionale per Alaska, British Columbia, Washington,
Oregon, e California;

b) il Pacific Tsunami Warning Center di Ewa
Beach (Hawaii) è il Centro di Allarme Tsunami regionale per le Hawaii e
centro nazionale/internazionale per tsunami che possono avvenire in
tutto il Pacifico.

Questo sforzo internazionale
è stato formalizzato nel 1965 (dopo lo tsunami del 1964 in Alaska),
quando il PTWC assunse la responsabilità internazionale del Pacific
Tsunami Warning System (PTWS), composto dai 26 Stati Membri the sono
organizzati nel Gruppo Internazionale di Coordinazione per lo Tsunami
Warning System nel Pacifico.

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Nota
(3)
Il catalogo del National Earthquake Information Center (NEIC) riporta infatti un terremoto di magnitudo 5.7 alle 01.59 GMT, cioè solo 30 minuti dopo la scossa di Sumatra, nel nord della Tailandia.
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Siti correlati:
International Tsunami Information Center
http://ioc3.unesco.org/itic/

Towards the establishment of a tsunami warning and mitigation system for the Indian Ocean (sito attivo dal 10 febbraio 2005) http://ioc.unesco.org/indotsunami/

Tsunami Laboratory –
Institute of Computational Mathematics and Mathematical Geophysics – Siberian Division Russian Academy of Sciences http://tsun.sscc.ru/tsulab/20041226warn.htm et http://tsun.sscc.ru/

Cataloghi di tsunami on-line tsunami
http://tsun.sscc.ru/tsulab/On_line_Cat.htm

Alaska Tsunami Warning Center (ATWC) http://wcatwc.arh.noaa.gov/

Pacific Tsunami Warning Center http://www.prh.noaa.gov/ptwc/

Pacific Tsunami Museum http://www.tsunami.org/

Il terremoto-maremoto nel Sud-Est asiatico del 26 dicembre 2004 (Convegno all’Accademia dei Lincei) http://www.fis.uniroma3.it/%7Eplastino/seminars/terr_mar.html

Catalogo degli tsunami in Italia
http://www.ingv.it/italiantsunamis/tsun.html