Si dice che la meccanica newtoniana avesse riposto in un “angolino” il libero arbitrio dell’uomo, per via di una visione completamente determinista. Vorrei sapere in che ottica la nuova fisica guarda verso il problema dell’effettiva libertà dell’uomo nell’universo. Mi scuso se la domanda non è posta in maniera sufficientemente chiara.

Quello del libero arbitrio è un problema spinoso sul quale hanno discusso
schiere di filosofi senza giungere, peraltro, ad alcuna conclusione soddisfacente.
Non ho quindi nessuna pretesa di rispondere in modo adeguato alla difficile
domanda che il lettore pone. Mi limiterò ad alcune considerazioni che
spero possano essergli utili per chiarire un po’ meglio il problema.

Sintetizzando al massimo le diverse posizioni che hanno caratterizzato
l’intera storia della filosofia, potremmo individuare due schieramenti.
Per alcuni “libero arbitrio” significa sostanzialmente assenza di costrizioni.
In altre parole un soggetto è libero quando non è indotto a una scelta
in contrasto con quelle che sarebbero le sue preferenze. Per altri invece,
per essere veramente liberi, occorre qualcosa di più. Sarebbe cioè necessaria
anche la capacità di scegliere in contrasto con le proprie preferenze
senza essere vincolati dal proprio carattere, dalle proprie aspirazioni
e dalle circostanze in cui avviene la scelta. Questa seconda posizione
è stata ben espressa da Schopenauer quando affermò che “l’uomo è libero
di fare ciò che vuole, ma non di volere ciò che vuole”. Entrambe le posizioni
presentano non poche difficoltà.

La scienza classica era fondamentalmente deterministica. Questa posizione
deterministica è stata chiaramente espressa da Pierre-Simon de Laplace
che nel suo Essai philosophique sur les probabilités del 1819,
così scriveva:

Tutti gli avvenimenti, perfino quelli che per la loro piccolezza non
sembrano dipendere dalle grandi leggi della natura, sono una conseguenza
di queste ultime altrettanto necessarie che le rivoluzioni del Sole.
Nell’ignoranza dei legami che li uniscono all’intero sistema dell’universo,
si sono fatti dipendere da cause finali o dal caso, a seconda che essi
avvenivano e si succedevano con regolarità o senza un ordine apparente;
ma queste cause immaginarie hanno gradualmente ceduto il passo, con
l’allargarsi dei confini delle conoscenze e sono interamente scomparse
di fronte alla sana filosofia, che vede in esse soltanto l’espressione
della nostra ignoranza delle vere cause. […]
Una intelligenza che, a un dato istante, potesse conoscere tutte le
forze da cui la natura è animata e la posizione rispettiva degli enti
che la compongono -una intelligenza sufficientemente vasta da sottoporre
questi dati all’analisi- abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti
dei più grandi corpi dell’universo e quelli dell’atomo più leggero;
per essa, nulla sarebbe incerto e il futuro, come il passato, sarebbe
presente ai suoi occhi.

Secondo il determinismo della fisica classica, la conoscenza delle leggi
e dei dati relativi ad un certo istante (condizioni iniziali) consente
di prevedere con assoluta certezza l’evoluzione di un sistema. La fisica
classica ritiene di conoscere le leggi e ammette, almeno in linea di principio,
che sia consentito conoscere i dati. Molti fenomeni (quali il lancio di
un dado) sono di fatto imprevedibili a causa della mancata conoscenza
delle condizioni iniziali. Tuttavia essi diventerebbero perfettamente
prevedibili nel momento in cui si acquisisse tale conoscenza, concettualmente
possibile per la fisica classica. Condizioni iniziali differenti produrranno
differenti evoluzioni del sistema.
Questa rigida concezione deterministica, se estesa all’intero universo,
si presta già di per sé ad una interessante critica di ordine logico che
è strettamente legata al problema del libero arbitrio. Per dedurre una
legge fisica, lo sperimentatore deve avere la libertà di scegliere condizioni
iniziali diverse e constatare, di conseguenza, differenti evoluzioni.
Tuttavia, se l’intero universo è rigidamente deterministico, lo sperimentatore,
in quanto parte dell’universo, non è affatto libero nelle sue scelte.
Le condizioni iniziali che egli ritiene di scegliere sono in realtà determinate
dalla storia precedente dell’intero universo. La legge fisica che egli
ritiene di dedurre sarebbe pertanto completamente priva di senso. A questo
proposito Mario Ageno osserva (M. Ageno, Introduzione alla biofisica):

La contraddizione può essere certamente sanata ammettendo che le condizioni
iniziali dell’universo fossero proprio tali da portare di necessità
al momento giusto quel certo sperimentatore a fare proprio quelle esperienze
che, se egli fosse stato libero di operare, lo avrebbero condotto a
formulare le leggi universali del sistema allo studio. Il valore esplicativo
della teoria sarebbe allora nullo e, più che nella metafisica, ricadremmo
in pieno nella teologia.

Inoltre anche all’interno della fisica classica sono noti da tempo fenomeni
la cui evoluzione è estremamente sensibile alle condizioni iniziali (sistemi
caotici). Per tali sistemi è assolutamente impossibile prevederne l’evoluzione
futura ed è quindi impensabile muoversi in un’ottica propriamente deterministica.

Queste considerazioni fanno comprendere come anche all’interno della fisica
classica non è affatto detto che il libero arbitrio debba necessariamente
essere “messo in un angolino”. Inoltre, come ha osservato MacKay (citato
in P. Davies, Dio e la nuova fisica), anche ammettendo una prospettiva
deterministica e ipotizzando che una mente superiore fosse in grado di
prevedere esattamente le nostre scelte, non potrebbe assolutamente comunicarcelo.
Se lo facesse, infatti, le nostre “condizioni iniziali” cambierebbero
e le sue previsioni sarebbero vanificate. Quindi possiamo salvare il nostro
libero arbitrio (qualunque cosa significhi), visto che esso necessita
solamente di una certa ignoranza da parte nostra nei confronti del futuro.

La fisica quantistica ha sferrato un colpo mortale alla visione deterministica
della fisica classica. Anche se è improprio considerare la meccanica quantistica
una teoria indeterministica. A livello di singola funzione d’onda essa
è, infatti, perfettamente deterministica. Tuttavia, è la mancata conoscenza
esatta dei dati relativi alle condizioni iniziali (conseguenza del principio
di Heisenberg) che impedisce di prevedere esattamente i valori futuri
assunti dalle diverse grandezze fisiche che caratterizzano lo stato di
un sistema. Questa impossibilità ci obbliga a previsioni esclusivamente
di tipo statistico. Il fisico B. d’Espagnat, a questo proposito, ha formulato
nel modo seguente il principio di determinismo statistico: “Se due
insiemi statistici sono sottoposti a trattamenti identici e se osservazioni
successive rivelano tra essi significative differenze statistiche, se
ne trae l’implicazione che i due insiemi non erano identici all’inizio
“.

(B. d’Espagnat, I fondamenti concettuali della meccanica quantistica).

Tuttavia anche ammettendo una prospettiva completamente indeterministica,
in cui il caso regnasse sovrano, anche le nostre scelte sarebbero del
tutto casuali. Posti di fronte a una alternativa la nostra scelta deriverebbe
da una semplice fluttuazione quantica a livello neuronale e difficilmente
potremmo considerarla frutto di ciò che chiamiamo libero arbitrio. Di
conseguenza l’abbandono della concezione deterministica solo apparentemente
sembra consentire uno spazio maggiore al libero arbitrio.

Probabilmente quindi è la nozione stessa di libero arbitrio a dover essere
rivista. Il problema del libero arbitrio è in realtà un insieme di tanti
problemi non sempre facilmente individuabili. Solamente una conoscenza
più approfondita della mente umana potrà far luce sulla questione. Dal
punto di vista operativo è tuttavia relativamente semplice stabilire se
un individuo possiede o no libero arbitrio: è sufficiente chiedersi se
è possibile o no prevedere esattamente le sue azioni. Sicuramente tale
possibilità ci è preclusa, sia in un universo deterministico che in uno
indetermininistico. Di conseguenza la categoria morale del libero arbitrio
sembra essere un’utile approssimazione con cui trattare il comportamento
umano. Attribuendo a noi stessi il libero arbitrio ci comportiamo in maniera
sostanzialmente analoga a quando attribuiamo capacità “intenzionali”,
ad esempio, a un calcolatore che gioca a scacchi. Siccome ci è impossibile
prevedere, in base alla conoscenza del suo programma o al funzionamento
dei suoi circuiti integrati, le mosse che esso compirà, ci rimane più
semplice considerarlo come se agisse in base a ragionamenti simili ai
nostri, attribuendogli addirittura “il desiderio di vincere”. L’attribuzione
si dimostra efficace. Analogamente per decidere se accettare o meno l’ipotesi
del libero arbitrio è forse sufficiente valutare la sua efficacia, indipendentemente
dalla sua fondatezza teorica.
Qui evidentemente il discorso passa dal terreno strettamente scientifico
a quello etico-morale. La maggior parte dei moralisti ha da sempre sostenuto
che il concetto di libero arbitrio e quello strettamente connesso di responsabilità
individuale costituiscono il fondamento di ogni società civile. La storia
delle vicende umane suscita tuttavia alcune perplessità circa l’efficacia
dell’insegnamento impartito da questi moralisti. Nella storia del pensiero,
non sono mancati, anche se minoritari, coloro che di fronte al fallimento
delle dottrine moralistiche, hanno preferito invitare gli uomini a una
condotta basata sulla spontaneità e sull’aderenza al decorso degli eventi,
piuttosto che sul senso del dovere e di responsabilità. Significativi,
a questo proposito, sono i versi del poeta zen Seng-Ts’an:

Se vuoi raggiungere la nuda verità,
non preoccuparti di giusto o sbagliato.
Il conflitto tra giusto e sbagliato
È la malattia della mente.