Ho sentito che è possibile integrare una funzione che vale zero per i razionali e uno per gli irrazionali, è vero? Ciò mi lascia molto perplesso. Quanto farebbe l’integrale tra zero e uno di tale funzione? Se esistesse esso darebbe una misura della “densità” degli irrazionali nei numeri reali (!), avrebbe senso tutto ciò? Mi sembra impossibile che si possa affermare che tra zero e uno ci sono più irrazionali che razionali, o viceversa, è lo stesso, forse le mie perplessità nascono da un preconcetto e d’altronde non ho le conoscenze matematiche per confermare o smentire tale affermazione… Potreste chiarirmi questo curioso dubbio?

Ciò mi lascia molto perplesso. Quanto farebbe l’integrale tra
zero e uno di tale funzione? Se esistesse esso darebbe una misura della
“densità” degli irrazionali nei numeri reali (!), avrebbe senso tutto ciò? Mi
sembra impossibile che si possa affermare che tra zero e uno ci sono più
irrazionali che razionali, o viceversa, è lo stesso, forse le mie perplessità
nascono da un preconcetto e d’altronde non ho le conoscenze matematiche per
confermare o smentire tale affermazione… Potreste chiarirmi questo curioso
dubbio?

A supporto delle perplessità del nostro lettore, va
detto subito che questo problema non ammette una risposta netta né
immediata. In effetti, l’integrabilità della funzione citata dipende da
come si decide di definire l’operatore “integrale”: dobbiamo quindi spendere
qualche parola per precisare questo concetto.

      L’integrale nasce
dall’esigenza di calcolare l’area compresa tra una funzione e l’asse delle
x in orizzontale e tra due due rette verticali arbitrarie situate alle
coordinate a e b. La più famosa definizione di integrale
è quella che viene insegnata anche nella scuola superiore, cioè
l’integrale di Riemann: l’idea è quella riassunta nella figura 1.
In pratica, dividiamo l’intervallo [ab] in intervalli
più piccoli che usiamo come base di altrettanti rettangoli; come altezze
degli stessi rettangoli, prendiamo ora il valore massimo e ora il valore minimo
assunti dalla funzione nei rispettivi intervalli, ottenendo così le figure
costituite dai rettangoli viola e dai rettangoli gialli (la mia insegnante di
liceo le chiamava “plurirettangolo esterno” e “plurirettangolo interno”, ma non
ho mai veramente digerito l’ampollosità del termine). Nel caso in cui le
aree delle figure che otteniamo si avvicinino a un valore comune a mano a mano
che si “infittisce” la partizione dell’intervallo [ab],
questo valore comune deve necessariamente essere l’area della figura di piano
che ci interessa misurare.



Figura 1. L’Integrale di Riemann.

Seguendo questa costruzione, è evidente che la funzione
citata dal lettore non può essere integrabile sull’intervallo
[0, 1]. Infatti, comunque si prendano gli “intervallini” in cui si
suddivide l’intervallo [0, 1], in ogni piccolo intervallo saranno compresi
almeno un punto razionale e uno irrazionale: di conseguenza, i valori estremi
assunti dalla funzione su ogni intervallino saranno sempre 0 e 1 e, quindi,
l’area delle due figure “approssimanti” sarà sempre, rispettivamente, 0
e 1.


Molto diversa, invece, è la definizione di integrale
di Lebesgue
, di cui cerchiamo di dare un’idea intuitiva senza pretesa di
eccessivo rigore né di completezza; rimandiamo comunque a un testo di
analisi matematica per l’università per tutti i dettagli. L’idea
è quella di cercare un modo diverso per “approssimare” la funzione
tramite funzioni “semplici”, e tale modo è quello di operare una
partizione dell’insieme delle immagini invece che del dominio.

      Supponiamo, per esempio,
di voler integrare tra a e b una funzione limitata, cioè
una funzione che assume valori compresi nell’intervallo
[mM]. Possiamo allora considerare una partizione di
questo insieme dei valori in n intervalli
[yi-1yi] dove i punti
yi sono presi in modo tale che

m = y0 < y1 < … < yn = M

e ripartire il dominio in n insiemi
D1, …, Dn tali che i valori di
x compresi nell’i-esimo insieme siano esattamente quelli
dell’intervallo [ab] per cui la funzione assume valori
compresi nell’intervallo [yi-1yi].
Se ora è possibile conoscere in qualche senso la “misura”
ai di ognuno degli insiemi Di, l’area della
regione di piano in considerazione (che chiamiamo ancora “integrale da a
a b di f(x)”) soddisfa le disequazioni

così che l’integrale esiste, come accade con
l’integrale di Riemann, se “infittendo” la partizione dell’insieme delle
immagini le due quantità a sinistra e a destra della disequazione qui
sopra convergono allo stesso valore.

      Il vantaggio
dell’integrale di Lebesgue rispetto a quello di Riemann sta nel fatto che in
generale è molto più facile definire la misura di un sottoinsieme
del dominio di quanto non sia “ingabbiare” una funzione “dentro” e “fuori” da
delle opportune unioni di rettangoli. Sull’insieme dei numeri reali, per
esempio, è definita la misura di Lebesgue, che permette di
valutare l'”estensione” di un ampia famiglia di sottoinsiemi e che possiede la
desiderabile proprietà che la misura di un intervallo coincide proprio
con la sua lunghezza.

      Rispetto a questa
definizione, si può dimostrare che la funzione citata dal lettore
è integrabile. È immediato, in effetti, che l’integrale
di Lebesgue della funzione considerata debba essere pari alla misura
dell’insieme dei numeri irrazionali compresi tra 0 e 1 (infatti, deve essere
pari alla somma tra 0 volte la misura dell’insieme dei numeri razionali e 1
volta la misura dell’insieme dei numeri irrazionali). È possibile, a
questo punto, dimostrare che la misura dell’insieme dei numeri razionali
appartenenti a [0, 1] è 0, perché tale è la misura di
ogni sottoinsieme numerabile dell’insieme dei numeri reali: allora, la misura
dell’insieme dei numeri irrazionali appartenenti a [0, 1] è pari
alla misura dello stesso intervallo [0, 1], cioè 1. L’integrale di
Lebesgue da 0 a 1 della funzione in oggetto è dunque 1.


Mi rendo conto che probabilmente questo risponde solo
parzialmente alla domanda del lettore. In effetti, è lecito anche
chiedersi come si possa affermare che i numeri irrazionali nell’intervallo
[0, 1] siano in qualche senso “più” dei numeri reali. Anche qui la
risposta è tutt’altro che banale e richiede una dettagliata trattazione
in termini di teoria della cardinalità. È infatti possibile
dimostrare che i numeri razionali sono numerabili (per la definizione di
numerabilità e per qualche cenno alla teoria della cardinalità
rimando a una mia precedente risposta)
mentre i numeri reali hanno una cardinalità strettamente maggiore: da
questo (e dal fatto che l’unione di due insiemi numerabili è numerabile)
si deduce che i numeri irrazionali hanno una cardinalità strettamente
maggiore di quella dei numeri razionali e, quindi, che in qualche senso
è ragionevole dire che i numeri razionali sono “meno numerosi” di quelli
irrazionali.