Dato un endomorfismo L: V ->V, con V spazio vettoriale reale (o anche complesso)di dimensione finita, λ∈R si dice autovalore di autovettore v≠0 per L se L(v)=λv; dunque gli autovettori sono quei vettori che vengono trasformati in multipli di se stessi;
L’utilità principale degli autovettori si vede dai Teoremi di decomposizione spettrale di un endomorfismo diagonalizzabile; infatti un endomorfismo si dice diagonalizzabile se esiste una base di V in cui tale endomorfismo è una matrice diagonale. Gli elementi della base vengono ad essere autovettori dell’endomorfismo. Risulta dunque molto facile scrivere come opera L, dal momento che da come opera su una base di V è possibile risalire a come opera su tutto V. L’obiettivo principe è quindi quello di ricondurre una matrice ad una matroce diagonale, con la quale è molto più facile fare i conti, e questo si fa andando appunto a trovare autovettori e autovalori della matrice (i quali verranno ad essere gli elementi della diagonale principale).
Sottolineo infine un fatto di estrema importanza: tutto ciò si applica anche al caso della dimensione infinita (in modo naturalmente più complesso), cercando di avere una decomposizione spettrale di operatori lineari tra spazi di funzioni, attraverso il calcolo delle autofunzioni (=autovettori). Ciò è di estrema importanza in teoria di equazioni a derivate parziali, in quanto consente di scrivere, in modo a volte decisamente più facile, come opera un operatore differenziale tra spazi di funzioni.